RECTAFLEX SpA
Grande, grande, grande Rectaflex. “Un chef d’ouvre italien -un capolavoro italiano”; così 30 anni dopo la sua fine Patrice-Herve Pont, giornalista francese, celebrava, in Francia, questa mitica fotocamera con un libro ad essa dedicato. Sono passati altri 15 anni e Marco Antonetto, consacra il mito della Rectaflex nella più completa rassegna, dopo la Leica, mai dedicata ad una macchina fotografica. Dalla presentazione del primo prototipo nel 1947 alla Fiera di Milano alla cessazione dell’attività, nel 1953, in soli 7 anni si consumò l’incredibile storia di Telemaco Corsi, avvocato con il pallino della fotografia; una storia densa di novità, capace, fino all’ultimo, di proporre e realizzare idee innovative.
La nascita della Rectaflex fu una rivoluzione nel campo delle reflex a visione diretta; per la prima volta si poteva inquadrare ad altezza d’occhio, l’immagine era perfettamente raddrizzata, lo specchio era a ritorno istantaneo (comandato dal pulsante di scatto, semplice ma geniale), il meccanismo dell’otturatore era montato su rubini e perciò silenzioso e preciso, la meccanica pur semplice era estremamente robusta. Tutte queste caratteristiche, concepite e realizzate nell’Italia del dopoguerra, rendevano questa fotocamera agli occhi degli stranieri semplicemente un enigma che confermava ancora una volta un luogo comune, forse in parte vero, quello del “genio italico”. Nel 1947 Telemaco Corsi era un dirigente della S.A.R.A, società romana del gruppo CISA Viscosa specializzata nel riutilizzo di autoblindo e motociclette residuate di guerra per conto della Pubblica Sicurezza; appassionato di fotografia sperimentava la difficoltà di avere a disposizione quella macchina fotografica versatile e moderna tante volte immaginata e discussa con l’amico Emilio Palmidessi; le idee infine si concretizzarono in un progetto che occorreva solamente realizzare.
Il primo passo fu di verificare se questa fotocamera avrebbe incontrato il favore di coloro che l’avrebbero poi usata. In tutta fretta fu preparato un prototipo in legno dotato di ottica, specchio riflettente e ovviamente un mirino da presentare alla Fiera di Milano del 1947. Il successo fu immediato, l’interesse per la fotocamera enorme, ma essa aveva una grave lacuna scoperta per caso in quella stessa fiera: se nelle riprese orizzontali l’inversione della destra con la sinistra era sopportabile, nelle riprese verticali l’immagine appariva capovolta tanto da rendere inutilizzabile la fotocamera.
La grande volontà dell’avvocato Corsi riuscì a superare anche questo scoglio ed il prisma venne reinventato. L’idea fu a quel punto presentata ai proprietari della S.A.R.A i quali in pochissimo tempo accolsero la proposta e diedero a Corsi i fondi necessari per incominciare. Fu costituita la società per azioni Rectaflex affidata sia per la parte tecnica sia per quella commerciale all’avvocato Corsi. Alla fiera di Milano del 1948 fu presentato il modello definitivo. La fase progettuale è oramai superata; con grande entusiasmo Corsi dà il via alla produzione di serie. Le difficoltà da affrontare sono tante mancando qualsiasi esperienza specifica nel settore. Occorreva creare gli strumenti e contemporaneamente professionalizzare le maestranze, un’impresa non da poco; nonostante tutto il clima era euforico: per la prima volta un prodotto italiano prima ancora che in Italia veniva apprezzato all’estero. Nel 1951, alla Photokina di Colonia, la Rectaflex ottenne un grande successo; i tecnici tedeschi restarono ammirati da una fotocamere in cui l’otturatore aveva ingranaggi montati su rubini e (udite, udite) tutte le viti portavano il taglio orientato nello stesso verso. Il settore commerciale fu però il tallone d’Achille della Rectaflex.
Alle continue richieste da parte di grossisti italiani e stranieri si rispondeva offrendo piccolissime quantità d’apparecchi, preferendo puntare, già nel 1948, su un contratto da mille pezzi per il mercato australiano, poi sfumato. La ragione era da ricercare nella situazione contingente; la sola fotocamera di qualità in quel momento sul mercato era la Rectaflex e dunque si poteva far aspettare. Ma i tempi erano destinati a cambiare, l’economia tedesca si stava rimettendo in moto, la grande tradizione dell’industria fotografica tedesca ricominciava a far sentire tutto il suo peso.
Nel 1952 per cercare di aumentare le vendite la proprietà decise di affidare la direzione commerciale a Leon Baume certi che le sue conoscenze avrebbero aperto le porte dell’enorme mercato americano; ma il favoloso contratto di mille apparecchi al mese per le forze armate americane da lui ottenuto non fu onorato. In questo contesto d’improvvisazioni s’inserisce anche l’episodio della Rectaflex gold donata nel 1953 al presidente degli Stati Uniti Eisenhower; il gesto accese l’interesse degli americani per questa fotocamera, ma le numerosissime richieste provenienti dal mercato civile americano non poterono essere soddisfatte.
La Cisa Viscosa proprietaria dell’azienda visti i cattivi risultati economici decise di interrompere la produzione, la fabbrica romana fu chiusa; fu costituita una nuova società, la Rectaflex International, cui partecipava la stessa Cisa, Leon Baume e il principe del Liechtenstein. La sede venne trasferita a Vaduz dove negli stabilimenti della Contina, di proprietà dello stesso principe, si tentò di riprendere la produzione con un nuovo modello; ma per errori di progettazione che rendevano inutilizzabile la macchina il tentativo fallì. Si decise così di chiudere anche l’avventura estera della Rectaflex.
La vicenda Rectaflex si concluse in poco più di sette anni, per colpa di un management incapace di gestire un’opportunità unica in Italia: una fotocamera tecnologicamente all’avanguardia in grado di competere con rivali più blasonate e con alle spalle una storia di decenni; ciononostante quei sette anni furono caratterizzati da una costante ricerca di soluzioni dirette al miglioramento del prodotto, alla creazione di un sistema reflex completo capace di soddisfare le richieste del professionista più esigente. Il primo modello di Rectaflex (comunemente indicato tra i collezionisti come Standard 1000) era caratterizzato dalla velocità d’otturazione che arrivava fino a 1/1000 di secondo mentre i tempi lenti, selezionabili da una rotellina posta sul dorso in corrispondenza del selettore della velocità, potevano scendere fino al secondo.