Serial Number: 52195
Year: 1955
Boniforti & Ballerio Kobell Press
La Kobell Press era la stessa fotocamera Kobell Film ma con un nome diverso per il mercato estero. Costruita in lega leggera questa fotocamera formato 6×7,5cm era destinata ad un uso professionale. Il set mostrato comprende tre ottiche montate su otturatori. Un grand’angolo Schneider Angulon 65mm f6,8, un Voigtlander Color Skopar 105mm f3,5 e un medio tele Zeiss Tessar 150mm f4,5.
Nelle foto Mario Giacomelli con la sua Kobell Press. Mario Giacomelli scatterà tutte le sue foto, sempre, con una unica macchina fotografica. Una corpo macchina artigianale comprata nel 1955 da Tarini a Milano e che utilizzò fino all’anno 2000. “KOBELL PRESS” questo è il nome. Progettata dal fotografo Luciano Giachetti con la collaborazione dell’artigiano milanese Boniforti,costruita poi in soli 500 esemplari dalla ditta di Agostino Ballerio, fu inizialmente dotata di un obbiettivo Voigtlander color-heliar 1:3,5/105. I fotografi vicini a Giuseppe Cavalli (Gruppo Misa) avevano scelto di dotarsi di questa macchina di fatto assemblata ad personam. Era stata pensata per il fotoreportage giornalistico, riuscendo ad unire le pellicole negative medio formato delle rolleiflex e la flessibilità delle ottiche intercambiabili Leica. Tra gli autori che a scopi artistici avevano ed usavano la Kobell, oltre Giacomelli, c’erano, Giuseppe Cavalli, Ferruccio Ferroni, Renzo Tortelli e, su consiglio e raccomandazione di Giacomelli, anche Duilio Barbaresi, suo amico, celebrato parrucchiere senigalliese, esperto ed appassionato di fotografia.
Ma come nacque questa mitica Macchina fotografica?
La Leica è stata il grande amore del fotografo Luciano Giachetti, detto Lucien e se la portò dietro al reparto di cinematografia militare di Torino, al quale era stato assegnato.
Quando, all’indomani del 25 aprile 1945, i soggetti fotografici stavano mutando, la Leica mostrò forse i suoi anni. Nonostante il lungo stato di servizio, le caratteristiche principali di questa macchina ormai passata alla leggenda erano rimaste inalterate. Ma le esigenze della cronaca, della registrazione continua ed incalzante sulla pellicola della vita nei primi due anni di pace, aumentavano in modo preponderante. Occorreva passare dal formato 24×36 al formato su pellicola 120. Tuttavia era anche necessario continuare a disporre di obiettivi di grande precisione e versatilità. Giachetti, nel frattempo stabilitosi a Vercelli, con un anno di lavoro paziente, dal 1946 al 1947, mise a punto una macchina che rispondesse ai requisiti voluti. “Il problema – rammenta – era di fondere la Leica con una delle macchine da fotocronaca che erano comunemente adoperate dagli americani e che durante la guerra erano state date in dotazione anche ai reparti specializzati degli eserciti italiano, tedesco, francese”. Il risultato di un lavoro fatto di innumerevoli viaggi fra Vercelli e Milano, di continue prove e di non poche delusioni, prese il nome di Kobell, che in tedesco vuol dire mescolanza. Infatti, quel pezzo unico al mondo, oggi custodito gelosamente e che figurerebbe bene in un museo internazionale della fotografia, aveva gli obiettivi Zeiss, l’otturatore a tendina e il mirino propri della Leica. Però le altre parti erano della tedesca Plaubel, cosicché fu possibile ottenere fotogrammi su pellicola 120 di alta resa. “Tutta la mia attività di fotocronista fino al 1957 – dice Giachetti – si basò sulla Kobell, mentre i miei colleghi usavano ormai quasi esclusivamente la Plaubel e la Rolleiflex.